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Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale la neonata Repubblica Italiana compie una chiara scelta di campo, che confermerà negli anni integrandosi sempre più in profondità nel sistema europeo e atlantico. Da un punto di vista storico e culturale, tuttavia, il Paese resta eccentrico rispetto all’Occidente: ne fa parte, ma ne è pure una marca di frontiera. Questa sua eccentricità si rivela nella vita politica repubblicana, che non riesce a mettere radici in una definizione univoca e condivisa di democrazia, è attraversata da profonde faglie ideologiche e segnata da processi di delegittimazione reciproca vuol essere diversa da quel che è e non smette d’inseguire improbabili sogni palingenetici. La politica repubblicana si rivela così scarsamente adatta a gestire il processo d’integrazione del Paese all’interno dell’Occidente. Il volume osserva in quale modo il sistema politico incentrato sui partiti e sottoposto a tensioni crescenti dalle profonde trasformazioni del contesto internazionale si sia infine rivolto contro se stesso e abbia alimentato nel Paese il sogno di poter fare del tutto a meno della politica.
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